Nel cuore delle acque antiche, tra sorgenti che sussurrano e fiumi che ricordano, si muove una figura archetipica potente e ambigua: Melusina.
Se vuoi conoscere la mia versione della sua storia:
Creatura liminale per eccellenza, metà donna e metà serpente o drago, Melusina incarna il nodo profondo e mai del tutto sciolto tra femminile, metamorfosi e potere. Questa figura, che affonda le radici nel folklore francese e si è riverberata in tutta Europa, è stata riletta da autrici, studiose e scrittrici contemporanee come simbolo di un sapere perduto, di una forza ancestrale che la cultura patriarcale ha tentato di silenziare.
Melusina è una delle eredi dirette delle dee dell'antichità. Rappresenta il femminile fluido, generativo, potente ma non dominabile. Il suo corpo cangiante, che una volta a settimana si trasforma per metà in serpente, è segno di un’identità che sfugge alla fissazione, che non può essere ridotta a ruoli rigidi.
L'acqua e il divino femminile
Le divinità femminili dell’acqua popolano i racconti e i miti di ogni tempo. In molte culture originarie, l’acqua non è solo elemento vitale ma anche mezzo di trasmissione del sapere, portale verso l’altro mondo, grembo primordiale. Melusina non è soltanto una donna incantata, ma una sacerdotessa di un culto perduto, uno spirito liminale tra umano e divino, tra terra e acqua. Il suo sabato di metamorfosi non è una maledizione, ma un rito, un ritorno al corpo originario e alla sua potenza.
Secondo Gillian M.E. Alban, nel suo saggio Melusine the Serpent Goddess in A. S. Byatt’s Possession and in Mythology, Melusina incarna la sopravvivenza del culto della Dea Acquatica. Le sue radici affondano in epoche in cui il potere femminile era associato all’acqua, alla vita e al rinnovamento. Il serpente, simbolo arcaico di sapienza e ciclicità, abitava le acque sacre e ne custodiva i misteri. In molte tradizioni antiche, serpente, acqua e divinità femminile formano una triade inseparabile: la Dea appare come signora delle acque, madre della vita e spirito del rinnovamento, e il serpente ne è il messaggero e guardiano. L’acqua è grembo e soglia, e il serpente è il ponte che la attraversa. In India, il culto di Kundalini descrive un’energia serpentiforme che risale dal bacino al cielo, mentre nei miti mediterranei il serpente vive presso le fonti e gli alberi sacri. In Grecia, il serpente è attributo di dee come Demetra e Atena. Nell'iconografia neolitica, la spirale serpentina simboleggia nascita, morte e rinascita: un ritmo profondo che il patriarcato ha interrotto, ma non cancellato. Melusina, con la sua coda e il suo sabato d'acqua, ne è l'erede e la custode.
ll serpente: simbolo rubato
L’immagine della donna con la coda di rettile è ricorrente in moltissime culture. Non solo Melusina, ma anche Echidna, Lamia, Tiamat, Wadjet.
In Grecia, Echidna è una figura della mitologia arcaica, descritta da Esiodo come metà donna e metà serpente. Vive nelle profondità della terra e genera, con il mostro Tifone, creature come Cerbero, l’Idra di Lerna e la Chimera. È simbolo della fertilità ctonia e dell’ambivalenza tra vita e morte.
Lamia, secondo la mitologia greca, era originariamente una bellissima regina libica amata da Zeus. Quando Era, sposa del dio, scoprì la relazione, le uccise i figli o la costrinse a divorarli, a seconda delle versioni. Devastata dal dolore e trasformata dagli dei, Lamia divenne una creatura mostruosa: mezza donna e mezza serpente, divoratrice di bambini, figura notturna e temuta. Ma dietro la sua mostruosità si cela il trauma della perdita, la vendetta divina contro la femminilità libera e desiderante. In molte versioni Lamia è anche una seduttrice sapiente, simbolo della conoscenza erotica e della trasgressione femminile. Il suo nome sopravvive come sinonimo di strega, ma è una strega nata dal dolore e dalla colpa imposta.
In Babilonia, Tiamat è l’oceano salato primordiale, personificazione delle acque caotiche da cui nasce la creazione. Nella mitologia accadica raccontata nell’Enūma eliš, viene sconfitta dal dio Marduk che, dopo averla fatta a pezzi, usa il suo corpo per creare il cielo e la terra. Tiamat rappresenta la Dea Madre soppressa dall’ordine patriarcale e guerriero.
Wadjet è la dea cobra del Basso Egitto, protettrice del faraone e simbolo di regalità. Spesso raffigurata sulla fronte dei sovrani (ureo), è associata all’occhio che vede tutto, alla giustizia e alla rinascita. In origine spirito delle paludi e delle sorgenti del Nilo, Wadjet incarna il potere della visione e della protezione femminile.
Col tempo, questo simbolo si corrompe. Il serpente perde il suo legame con la vita e diventa emblema di colpa. Eva e il serpente nel giardino. Medusa che pietrifica. In ognuna, l’autorità femminile è punita.
Dalla Dea alla creatura
Ciò che colpisce nella figura di Melusina è che, come tutte le Dee divenute fate, è stata ridotta a creatura. Non più nume, ma narrazione. Non più potere, ma ornamento.
La trasformazione della Dea in mostro è uno dei meccanismi fondamentali con cui le culture patriarcali hanno rimosso e riscritto il sacro femminile. In questo processo, ciò che un tempo era potere creatore, principio ordinatore, conoscenza ciclica e profonda, viene progressivamente deformato fino a diventare minaccia, disordine, follia. La Dea, che incarnava la totalità della vita — nascita, morte, sessualità, trasformazione — viene separata, segmentata, ridotta a funzioni parziali e poi condannata per esse.
Il passaggio da Dea a mostro non è un semplice cambiamento estetico, ma un gesto politico e simbolico. La figura femminile viene spogliata della sua autonomia: non è più origine, ma deviazione. Non è più sacra, ma luogo proibito. Il suo sapere — incarnato nel corpo, nel sangue, nell’acqua — viene recintato o ridicolizzato, e dove non può essere addomesticato, viene demonizzato. Così il serpente, emblema di rigenerazione e ciclicità, diventa simbolo del male. Così l’acqua, che era grembo e oracolo, diventa elemento minaccioso, instabile, infido.
La narrazione agisce su due livelli: il primo è la riscrittura mitica, dove dee come Tiamat, Echidna, Medusa vengono associate al caos, alla sessualità distruttiva, alla colpa. Il secondo è la ripetizione culturale: ogni donna che sfugge al ruolo, che custodisce un sapere indipendente, che rifiuta la sottomissione, viene assimilata a quelle immagini mostruose. Non più madre cosmica, ma strega. Non più signora della creazione, ma creatura da esiliare.
Eppure, in queste figure restano tracce del loro antico splendore. Il mostro conserva i tratti della Dea. Il corpo serpentino, la metamorfosi, la voce che sussurra dal fondo — tutto questo parla ancora di un’altra origine. Di un’altra possibilità.
Melusina appartiene a questa genealogia spezzata ma non interrotta. Non è un mostro: è il riflesso distorto di una divinità antica, che continua a parlare, a sognare, a scorrere sotto la superficie della storia ufficiale.
Il patriarcato non uccide il serpente. Lo trasforma. Ne conserva la forma, ma ne cancella il significato.
Il serpente e il drago
Il serpente che Melusina cela e rivela è simbolo di un sapere profondo, che può emergere solo ciclicamente. Rappresenta un ciclo, un’energia femminile non lineare, connessa alla terra e al sangue, alla pelle che si rinnova.
Il drago, in cui Melusina si trasforma nel momento culminante della leggenda, è ancora più potente. Nell’iconografia medievale, il drago è spesso mostruoso, ma conserva tratti sacri: è custode, difensore di tesori, incarnazione di forze primordiali. Jung lo interpreta come simbolo della totalità inconscia, unione di maschile e femminile, di istinto e coscienza. Il drago-femmina che Melusina diventa non è la nemica, ma la porta tra mondo noto e ignoto. È la creatura che vola e striscia, che abita cielo e abisso, che riunisce in sé tutte le contraddizioni.
Melusina, come drago-serpente, raccoglie in sé l’eredità di tutte le dee serpente che nei millenni hanno simboleggiato potenza ciclica, fertilità e conoscenza. Alban sottolinea che nella sua coda si annida un sapere antico, che non chiede redenzione ma riconoscimento. In questo senso, Melusina non è creatura mostruosa, ma un sacro incarnato, acquatico, radicato nella terra e nello spirito, capace di attraversare le epoche sotto la forma di una leggenda, di una voce, di un sussurro tra le acque.
Le antiche divinità femminili sono state riscritte come pericolose e ambigue. Anche Melusina subisce questo destino: amata e temuta, venerata e nascosta. Il suo sabato è diventato tabù, la sua coda di serpente è vista con orrore. Ma questo orrore è il segno di una cultura che ha smarrito il senso del sacro femminile. Come nota Alban, il corpo mostruoso di Melusina è una proiezione del timore maschile di fronte a un sapere che non può controllare.
L’anima e il sabato
In molte narrazioni, il legame tra l’uomo e la creatura acquatica comporta un patto: un limite da non varcare. Non guardare, non domandare, non possedere del tutto. Ma l’uomo infrange il patto. Raimondino, spinto dal sospetto, osserva Melusina nel suo giorno sacro, ne scopre la metamorfosi e spezza l’alleanza. Ma non è lo sguardo l’atto definitivo del tradimento: è la parola. Raimondino infrange il patto rivelando pubblicamente la verità sul corpo di Melusina, esponendola allo sguardo collettivo, disonorandola davanti alla corte. La trasgressione non è soltanto intima, è sociale: la sua parola diventa condanna. Melusina si ritira non solo dalla vita coniugale, ma dalla comunità stessa. Non è la creatura a tradire, ma colui che non sa convivere con il mistero, colui che trasforma il sacro in scandalo.
Il sabato di Melusina è tempo sacro, è corpo restituito alla sua natura divina. È il momento in cui la donna non è madre né moglie, ma Dea. La trasgressione maschile del sabato è simbolo dell’incapacità di accettare l’alterità, la differenza, l’integrità femminile. Raimondino perde Melusina non per vendetta, ma per necessità: perché chi tradisce il mistero non può più dimorarvi.
Melusina è drago, sirena, serpente. È metamorfosi continua. Non può essere fissata in una forma, in una funzione. Il suo corpo è ribellione contro la logica binaria. È ciò che non si lascia addomesticare.
Nel pensiero di Jung, il drago unisce gli opposti: serpente e uccello, terra e cielo. È simbolo di totalità psichica, di potere interiore. Melusina, come drago femminile, custodisce questa totalità perduta. In lei si ritrovano le parti scisse dell’umano: eros, sapere, morte, rinascita.
Le voci che restano: Possessione di A. S. Byatt
Nonostante la demonizzazione, Melusina ha continuato a fluire nelle narrazioni, nelle ballate, nei racconti popolari. È comparsa nei sigilli araldici, nelle cronache dinastiche, nelle leggende delle famiglie nobili. È entrata nei romanzi, nei poemi, nelle riflessioni femministe.
Alban mostra come questa figura sia stata riscoperta da molte autrici contemporanee come simbolo della donna creatrice, del sapere sommerso, del corpo che resiste. Nel romanzo Possessione (punto di partenza del saggio della Alban), A. S. Byatt fa rivivere Melusina attraverso il personaggio della poetessa Christabel LaMotte, madre nascosta, amante tradita, artista senza riconoscimento. Ma il punto non è solo letterario. È genealogico e simbolico.
Byatt intreccia il mito con la struttura narrativa stessa del romanzo, rendendo Melusina non solo soggetto di un poema ma forma vivente della narrazione. Il mito non è contenuto nel testo: è il suo respiro. LaMotte, poetessa visionaria, incarna la tensione tra la parola e il silenzio, tra la creazione e la sparizione. Scrive un poema su Melusina, ma come Melusina, si ritrae, si nasconde, si dissolve. Nasconde una figlia, si sottrae allo sguardo, lascia che la sua voce venga dimenticata. Eppure, è proprio attraverso questa assenza che la sua eredità continua.
Maud, discendente e studiosa, è colei che ricostruisce il filo spezzato. Nel suo gesto non c'è solo ricerca filologica, ma un atto rituale: riportare alla luce ciò che era stato sepolto. Scavare nella carta come si scaverebbe nella terra, per riportare alla luce un sapere che è femminile, interrotto, disperso. In questo recupero, Byatt offre una delle più potenti riscritture moderne del mito della Dea: non come nostalgia per un passato perduto, ma come riemersione del femminile sepolto nelle strutture stesse del linguaggio, della memoria, della storia.
Lì dove l’acqua aveva sepolto, la memoria scava. Dove il serpente era stato ucciso, torna la parola.
Tornare alle acque: verso una nuova narrazione
Raccontare oggi la Dea Serpente significa restituire alla narrazione la sua funzione originaria: non strumento di dominio, ma passaggio; non istruzione, ma evocazione di parti sopite dentro di noi. Non si tratta di ricostruire un passato idilliaco, ma di aprire varchi nella trama della modernità, dove il sapere del corpo, del ciclo, dell’invisibile possa tornare a risuonare.
Melusina è metamorfosi, silenzio che custodisce, intuizione che sfugge alle categorie.
Raccontarla è già iniziare a riemergere.
Mentre lavoravo a questo post ho scoperto il lavoro di Veronica Morosi, studiosa e ricercatrice di spiritualità femminile. Nella sua newsletter su Substack esplora temi profondamente affini a quelli che attraversano Grandine: memoria simbolica, genealogie sommerse, risveglio del sacro nel corpo e nella parola. Vi invito a leggere il suo post "Medusa: dalla dea serpente al mostro", che amplia e risuona con molte delle riflessioni presenti qui. Se il mio sguardo è quello di una narratrice che scava nel mito per restituirgli voce, quello di Veronica è il cammino di chi riconosce nella Dea una presenza viva, spirituale e trasformativa.
RADICI E FONTI
Gillian M.E. Alban, Melusine the Serpent Goddess in A. S. Byatt’s Possession and in Mythology, Lexington Books, 2003
A. S. Byatt, Possession: A Romance, Vintage, 1991; ed. it. Possessione: una storia romantica, trad. di Fausto Galuzzi, Einaudi, 2002
Marija Gimbutas, The Language of the Goddess, Harper & Row, 1989; ed. it. Il linguaggio della Dea, Venexia, 2008
Riane Eisler, The Chalice and the Blade, Harper & Row, 1987; ed. it. Il calice e la spada, Frassinelli, 1989
Carl Gustav Jung, Man and His Symbols, Dell Publishing, 1964; ed. it. L’uomo e i suoi simboli, Longanesi, 1964
se senti l’eco del serpente, lascia la tua traccia nella sabbia.
se la voce ti ha toccata, diffondi il canto sommerso.
se vuoi seguire il richiamo delle acque, entra nel cerchio della memoria.
Che le parole ti conducano,
Laura
Articolo estremamente interessante. Il legame tra la divinità femminile e l'acqua mi ha fatto pensare a come molti santuari mariani siano sorti in prossimità di sorgenti, forse un'eco delle antiche dee?